Dunkirk – Il tempo, la sopravvivenza, i quattro elementi
Disclaimer: questa recensione si propone di non fare anticipazioni, tuttavia, trattandosi di eventi storici, l’autrice parte dal presupposto che il lettore conosca gli eventi salienti relativi alle vicende narrate nel film.
Dunkirk è l’ultima fatica di Christopher Nolan, uscita nelle nostre sale il 31 agosto e da tempo preannunciata come una delle pellicole più attese dell’anno.
Il film si basa su un tragico evento storico: la disfatta anglo-francese contro la schiacciante forza militare tedesca nella battaglia di Dunkerque, tra il 26 maggio e il 3 giugno 1940. Accerchiati dalla Wehrmacht, coi francesi prossimi alla resa (che avrebbe avuto luogo il 25 giugno), 335.000 militari sono tratti miracolosamente in salvo grazie all’impiego di imbarcazioni private partite dal Sud dell’Inghilterra per una missione di salvataggio estremo denominata Operazione Dynamo.
La pellicola parte da questo fatto storico e sviluppa tre filoni narrativi destinati poi ad intrecciarsi, ciascuno incentrato sull’impegno di tre diverse pedine inglesi nel complesso scacchiere della battaglia: da una parte l’esercito di terra, stremato e messo faccia a faccia con la propria sorte, attaccato con rabbia e con tenacia alle ultime speranze di tornare in patria; dall’altra la RAF (Royal Air Force), che con fatica si oppone alla Luftwaffe nel tentativo di contenere le perdite; infine, lo sguardo sul privato cittadino risoluto nel voler salvare i propri connazionali, in cui la sceneggiatura ha potuto prendere respiro e staccarsi da rigidi canoni storici per inserire trame originali.
Gli elementi che caratterizzano l’opera sono molteplici: si parte dall’estrema cura del comparto tecnico, che in un film di Nolan non manca mai. Tra i colori predomina il blu, colore del mare, sospeso tra la melancolia, il dolore, ma anche la calma che solo il ricordo della patria può suggerire quando la morte sembra inevitabile. Il suono è forse ciò che più sorprende: il film ha poche battute e gli scambi tra i personaggi, laddove possibile, si riducono a sguardi, piccoli cenni. A riempire il silenzio ci pensa però la musica, affidata come al solito a Hans Zimmer – e proprio qui sta la sorpresa: abbandonate le maestosità orchestrali che Zimmer ci ha regalato in Inception o Interstellar, il film è pervaso da un ronzio incalzante. Non è musica, non è una composizione da poter ascoltare separatamente dalla visione del film: è lo scorrere del tempo riprodotto con gli strumenti. È stato Nolan stesso a inviare a Zimmer la registrazione del ticchettio di un orologio, come fonte d’ispirazione per iniziare la composizione.
Ed ecco che ci troviamo di fronte ad uno dei temi centrali di Dunkirk: il tempo. Come ha già fatto in passato con Memento o con Interstellar o anche (in chiave onirica) con Inception, Nolan sovrappone piani temporali distinti: una settimana, un giorno, un’ora. E come poteva il tempo non essere protagonista in una storia di sopravvivenza? Quando si sta così pericolosamente in bilico tra vita e morte, ogni attimo conta come un’eternità: i secondi che passano quando stai per annegare, quelli che passano da quando la bomba viene sganciata alla sua deflagrazione. Ma il tempo è anche quello che ragazzi adolescenti o poco più che ventenni, così centrali nella narrazione, si vedono negare quando sono costretti ad andare in guerra, mai sicuri di tornare.
Così siamo di fronte al passare del tempo come primo grande nemico di questa storia. Dico primo grande nemico perché in realtà in questo film gli antagonisti sono cinque e nessuno di loro è davvero la Germania di Hitler. Anzi, singolarmente, nelle quasi due ore di film, praticamente nessuno pronuncia mai le parole “tedesco” o “nazista” riferendosi al nemico – solo una volta sentiamo accusare un soldato di essere una “spia crucca”. I tedeschi in questo film non ci sono quasi per niente: vediamo i loro aerei, i siluri partiti dai loro U-boot, sentiamo i loro colpi di arma da fuoco, la loro apparizione di persona è relegata a pochi secondi. Al loro posto, a simboleggiare la loro potenza, stanno invece i quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco. Come abbiamo già accennato, la narrazione del film è tripartita come segue:
I. Il molo – Una settimana;
II. Il mare – Un giorno;
III. Il cielo – Un’ora.
Abbiamo dunque già tre dei quattro elementi, tutti e tre sinistri e minacciosi: l’elemento aereo dominato dalla Luftwaffe, che sbuca dalle nubi col suo rombo di morte; il mare che, pur essendo l’ultimo collegamento con la Gran Bretagna, è anche una trappola ineluttabile quando si è incastrati tra i rottami di un mezzo di soccorso che si sta inabissando; il molo, cioè la terra, ma non quella agognata della patria, bensì quella ostile e insidiosa della Francia in fase di occupazione. Infine il fuoco, quello che le bombe tedesche seminano ovunque vadano, quello che è forse il nemico più temuto perché inesorabile: quando sai che una bomba sta per esplodere puoi solo aspettare il fuoco, con le mani a coprire le orecchie, sperando nella sopravvivenza o in una morte quanto più rapida possibile.
Prima di concludere, sarà il caso di menzionare il cast e la recitazione. Al di là dei volti ben noti a chi abbia un po’ di familiarità con il lavoro di Nolan – parlo ovviamente di Tom Hardy e Cillian Murphy – il film vanta un cast stellare: il premio Oscar Mark Rylance, il plurinominato Kenneth Brannagh, e poi ancora James D’Arcy, Jack Lowden, Fionn Whitehead, Harry Styles. Whitehead e Styles si cimentano per la prima volta con un ruolo in un lungometraggio – peraltro nient’affatto semplice sul piano recitativo – e ne escono con estrema dignità. Meritano particolare elogio Jack Lowden e Tom Hardy che, coi volti coperti dalle ricetrasmittenti, sono costretti a recitare solo con gli occhi per la maggior parte del tempo e fanno in tal senso un lavoro egregio.
In conclusione, il film di Nolan è una piccola storia di solidarietà e di unità britannica. Il regista vuole raccontare una storia inglese e lo fa anche a discapito dell’accuratezza storica: non menziona, ad esempio, che tra i soldati salvati dalle pleasure boats c’erano anche oltre 100.000 francesi. Non solo ciò non emerge nel film, ma anzi viene ribaltato – gli inglesi sono ripiegati su loro stessi, verso i francesi provano quasi ostilità e non accettano di imbarcarli sulle loro navi. L’anglo-centrismo del film colpisce anche le truppe africane e indiane che fecero parte della battaglia di Dunkerque, cancellandole dalla storia e attirando così su di sé le accuse di whitewashing. Al dì là di questa espressione di patriottismo da parte di Nolan, il film resta destinato ad entrare a pieno titolo tra i più bei film di guerra mai girati, e sicuramente sarà ben ricevuto dall’Academy e da altri premi di rilevanza internazionale.