Ryan Coogler firma un’opera che mescola in modo unico azione e critica sociale, un cinecomic lontanissimo dal canone e per questo fra gli esempi più memorabili del genere.
Come sarebbe oggi l’Africa se non fosse stata colonizzata? È questa la domanda scomoda da cui parte la narrazione di Black Panther. Grazie a un enorme giacimento di vibranio, un metallo pressoché indistruttibile, il Wakanda è diventato uno Stato autosufficiente, prospero e pacifico. Il mantenimento di questa situazione, però, è dovuto a due condizioni: il comando di un monarca che è anche il protettore della nazione grazie ai poteri della “pantera nera” e, soprattutto, la decisione di rimanere nascosti agli occhi del mondo. Così si evita che i malintenzionati sfruttino l’enorme potere rappresentato dal vibranio, ma allo stesso tempo non si fa nulla per aiutare il resto della popolazione africana, nel continente e nel mondo, che vive in condizioni di povertà e ingiustizia.
Dopo il suo debutto in Captain America: Civil War, incontriamo di nuovo T’Challa (Chadwick Boseman) nel momento in cui si appresta a diventare il nuovo re del Wakanda. La Pantera Nera, però, si troverà presto a dover affrontare una grande minaccia per la sua nazione e per il mondo intero.
L’operazione di Ryan Coogler (Fruitvale Station, Creed) è estremamente coraggiosa per un blockbuster inserito in un universo cinematografico ben definito. Il regista e co-sceneggiatore (assieme a Joe Robert Cole) porta nel MCU un elemento da sempre presente nei fumetti ma finora mai approfondito nei film dei Marvel Studios: la giustizia sociale. Gli altri film del filone, infatti, si sono tenuti ben lontani da inserire al loro interno temi sociali o di carattere politico, anche quando il tema lo richiedeva: prima di Black Panther, il cinecomic più politico era Captain America: The Winter Soldier, che ha portato all’attenzione del grande pubblico la questione della cyber-security come minaccia alla libertà individuale, ma altre volte, come in Civil War, si è preferito dedicarsi al puro intrattenimento senza problematizzare i personaggi e le loro azioni.
In Black Panther, invece, le tensioni sociali costituiscono il motore primo del film: la critica al protezionismo, il rifiuto del colonialismo, la radicalizzazione, la battaglia per gli oppressi, il conflitto fra diplomazia e lotta armata, fra nativi e afro-americani. La novità (per un film ad alto budget di produzione statunitense), però, è che questi temi vengono affrontati interamente all’interno della comunità nera, senza la prospettiva – spesso considerata “standard” – dell’uomo bianco.

Marvel Studios
In questo senso, nel film è presente un processo esplicito di ri-appropriazione culturale: nonostante il Wakanda sia un Paese avanzato, infatti, non è in alcun modo “occidentalizzato” nei gusti e nelle usanze, anzi, i costumi e i riti rimangono quelli delle miriadi di tradizioni africane appositamente ricercate e incluse nel film. Quelle stesse tradizioni che agli occhi del colonizzatore bianco, parte fondante (e ancora fondamentale) del nostro immaginario collettivo, vengono giudicate primitive e ridicolizzate. Non sarà raro, in sala, sentire risatine in reazione ai canti tribali o ai dialoghi in lingua nativa, ulteriore segno di quanto un film del genere sia importante non solo per le comunità africane nel mondo, ma anche per i bianchi, per metterci di fronte ai nostri pregiudizi e al nostro razzismo a volte inconsapevole.
L’impostazione politica dell’opera è chiara anche nella scelta delle location: oltre al Wakanda (ricostruito in Australia), parte del film si svolge in Corea del Sud, come a sottolineare il decentramento degli equilibri economici mondiali dall’Occidente verso l’Oriente e del ruolo sempre più marginale di Europa e America. L’unico set americano, infatti, è quello di Oakland, che oltre ad essere la città natale del regista è stato il quartier generale delle Pantere Nere, il gruppo armato che si formò negli anni ’70 e che in parte ispira Erik Killmonger (Michael B. Jordan), il villain del film.
Leggendo queste parole, si potrebbe avere l’impressione che Black Panther sia un film retorico e noioso, ma è l’esatto contrario: inserendo la politica come parte integrante della narrazione ma senza appesantirla, e grazie a una maestria non indifferente nella regia di scene d’azione, Coogler non lascia un attimo di tregua allo spettatore e sforna un film ad altissimo tasso di intrattenimento e fra i più spettacolari degli ultimi anni.
A completare l’opera ci sono le ottime interpretazioni di un cast stellare formato da volti nuovi e grandi nomi come Angela Bassett e Forest Whitaker, una fotografia da Oscar (curata da Rachel Morrison, candidata ad una statuetta per Mudbound) e una colonna sonora memorabile, che mescola le musiche composte da Ludwig Göransson ai brani che Kendrick Lamar ha realizzato appositamente per il film assieme ad altri artisti della scena rap e R’n’B come The Weeknd e SZA.
In conclusione, Black Panther è una perla rara, un film realizzato magistralmente su tutti i fronti, capace di intrattenere e divertire per oltre due ore e allo stesso tempo di porre degli importanti spunti di riflessione in modo più convincente e potente di molti altri film esplicitamente politici e impegnati.