I gusti sono gusti (Les goûts et les couleurs), la recensione del film originale Netflix

Myriam Aziza dirige una maldestra commedia degli equivoci a tema LGBT che lascia tiepidi e trasmette un messaggio ambiguo.

Simone Benloulou (Sarah Stern) è un’impiegata di banca che convive felicemente con la sua compagna Claire (Julia Piaton), ma incapace di fare coming out coi suoi genitori, una famiglia ebrea molto conservatrice che si è già rifiutata di accettare l’omosessualità del fratello; a complicare ulteriormente le cose, Simone, lesbica dichiarata, inizia a provare dei sentimenti per Wali (Jean-Christophe Folly), chef di origine senegalese.

Per tutta la durata del film, vediamo Simone scontrarsi con le sue comunità d’appartenenza, quella ebraica (seppur solo di nascita, tanto che non è praticante) e quella omosessuale, alla quale non sente di appartenere dopo che capisce di provare sentimenti per un uomo, per giunta nero e musulmano. È lo “scontro di civiltà” tanto caro a chi racconta una Francia multiculturale ma con minoranze che rifiutano l’integrazione, a cui in questa commedia viene aggiunta la comunità lesbica che viene trattata alla stregua di quella ebraica o musulmana, ovvero come delle culture monolitiche che non accettano eccezioni.

(Attenzione: da questo punto in poi sono presenti spoiler del film)

Lo scontro è a tutti i livelli: una famiglia ebrea che ripudia il compagno del figlio, una famiglia senegalese che non accetta che un figlio sposi una bianca, i parenti musulmani antisemiti e scrocconi, una lesbica della “vecchia leva” che predica l’amore libero e critica la monogamia nella comunità gay come segno di eteronormatività. Tutti questi personaggi vengono rappresentati in modo fastidiosamente stereotipato e lo svolgimento dei vari temi ha la stessa profondità e problematicità di un litigio sulla barra dei commenti di Facebook; i protagonisti, per contro, subiscono tutte queste resistenze senza che riescano mai ad affermare una propria identità, e senza mai fare cambiare idea alle persone amate.

Quello che fa storcere più il naso, però, è come in tutto questo (non) venga trattato il tema principale, quello della bisessualità. Non viene nemmeno mai nominata se non all’inizio, quando Simone dice di essere al 100% sicura della sua omosessualità nonostante l’attrazione per Wali, come se l’orientamento sessuale fosse un marchio da portarsi dietro tutta la vita e che preveda degli obblighi verso gli altri. Quello che li prevede è la monogamia, e il fatto che Simone diventi bigama non fa altro che alimentare un vecchio stereotipo sulla bisessualità.

Tutto questo rende ancor più problematico il finale, che potrebbe essere letto come una critica alle etichette a tutti i costi (allora perché Simone rivendica l’orgoglio di essere ebrea?), dell’eteronormatività (allora perché l’unico personaggio che la critica durante il film viene rappresentato come una vecchia promiscua?), ma che nei fatti diventa solo una conclusione confusa e assolutamente non in linea col resto della storia. Archiviato maldestramente il tema della bisessualità, potrebbe aprirsi quello delle relazioni poliamorose, ma sia Claire che Wali durante tutto il film hanno dimostrato di volere diritto di esclusività su Simone, e il finale annulla di fatti la loro volontà in modo forzato e poco credibile.

In conclusione, I gusti sono gusti è una classica commedia degli equivoci con buone interpretazioni ma una sceneggiatura completamente campata in aria, che riprende tutti gli elementi tipici della commedia francese contemporanea (personaggi macchietta, equivoci estenuanti, stereotipi e cliché sulle minoranze, comicità grottesca) che però poco si addicono al tema trattato, che avrebbe bisogno quantomeno di consapevolezza di ciò di cui si parla.

Voto: 4 / 10