#Venezia75: la recensione di Roma di Alfonso Cuarón

Tra Proust e Fellini, Roma è un potente omaggio alle donne dell’infanzia del regista. Dopo Gravity, Alfonso Cuarón torna alla Mostra del Cinema di Venezia, stavolta in concorso, col suo film più personale.

Roma – di cui Cuarón ha curato anche sceneggiatura, montaggio e per la prima volta anche la fotografia – è la storia di Cleo, giovane domestica mixteca di una famiglia benestante nel Messico degli anni ’70; la storia di Cleo, però, è anche la storia del regista e della sua famiglia, in quanto il personaggio è ispirato alla vera domestica dei Cuarón; ed è anche la storia del Messico e delle culture che lo attraversano.

Cuarón attinge dalla tradizione del neorealismo e sceglie attori sia professionisti che non, e a detta stessa del regista tutti collaborano alla creazione del film, che è stato costruito giorno per giorno anche tramite improvvisazione e col consolidamento dei rapporti fra gli attori; così, ai ricordi d’infanzia del regista si aggiungono mescolanze fra cultura pop e tradizione mixteca, spagnolo e dialetti indigeni, personale con politico e sociale.

Dal punto di vista tecnico, il film è costituito da quadri in piano sequenza, che fanno coincidere il tempo filmico con quello reale, mantenendo il punto di vista dell’osservatore esterno di una dimensione famigliare che diventa il punto centrale della narrazione, alla maniera di Yasujirō Ozu.

L’uso del bianco e nero per un film che parla del passato può apparire scontato, ma quello di Roma è, come ha dichiarato lo stesso regista, un bianco e nero contemporaneo, senza velleità nostalgiche; il film infatti è girato in digitale, e Cuarón non ha voluto in nessun modo creare l’impressione della grana tipica della pellicola.

La scelta del supporto digitale e di Netflix come distributore rende Cuarón ben lontano dalla corrente “ortodossa” che vede la pellicola e la sala come reliquie da preservare ad ogni costo, e Roma è un perfetto esempio di come si possa creare un’epica del passato usando strumenti del presente, per rendere ancora più universale e contemporaneo il messaggio.

Inoltre, Roma conferma il grandissimo talento di Cuarón come scrittore di personaggi femminili: il regista, infatti, ha sempre mostrato una sensibilità e un occhio particolare per le donne dei suoi film, tratto purtroppo raro in molti suoi pari, che faticano a scrivere personaggi femminili tridimensionali.

In Roma le donne sono assolute protagoniste, e nonostante siano letteralmente tratte da ricordi del regista in un processo che potrebbe ricordare Amarcord 8 1/2, sono ben lungi da essere simulacri materni o meri oggetti del desiderio maschile.

Ed è proprio la consistenza dei personaggi, dei luoghi, del tempo a rendere Roma uno dei film più riusciti della carriera di Alfonso Cuarón, di sicuro il più personale, forse il più commovente, che rimane nel cuore dello spettatore assieme a un retrogusto dolceamaro, come se si provasse a mescolare una madeleine al mezcal.

Voto: 8.5 / 10

Roma

2018
Di: Alfonso Cuarón
Con: Yalitza Aparicio, Marina de Tavira, Diego Cortina Autrey, Carlos Peralta, Marco Graf, Daniela Demesa

Messico, 1970. Roma è un quartiere medioborghese di Mexico City che affronta una stagione di grande instabilità economico-politica. Cleo è la domestica tuttofare di una famiglia benestante che accudisce marito, moglie, nonna, quattro figli e un cane. Cleo è india, mentre la famiglia che l'ha ingaggiata è di discendenza spagnola e frequenta gringos altolocati. I compiti della giovane domestica non finiscono mai, e passano senza soluzione di continuità dal dare il bacio della buonanotte ai bambini al ripulire la cacca del cane dal cortiletto di ingresso della casa: quello in cui il macchinone comprato dal capofamiglia entra a stento, pestando i suddetti escrementi.