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Una delle edizioni più chiacchierate, ma anche più ricche, la 75. Mostra del Cinema di Venezia si è conclusa l’8 Settembre con la consegna dei premi, che hanno visto trionfare ROMA di Alfonso Cuarón (qui la nostra recensione).
Un Leone d’Oro prevedibile, ma non per i motivi che si credono ovvi: da quando era stata annunciata la presenza del film, infatti, commentatori vari avevano paventato il “conflitto d’interessi” fra il regista messicano e il Presidente di Giuria, il connazionale e grande amico Guillermo del Toro. Tant’è che quest’ultimo, nella conferenza stampa d’apertura, ha subito chiarito che non avrebbe fatto favoritismi; dichiarazione servita a poco, dato che la domanda su un’eventuale preferenza per l’amico Cuarón gli è stata riproposta durante la conferenza di chiusura, stavolta suscitando il disappunto dei giurati, dato che è stato rivelato che la decisione è stata presa all’unanimità.
La verità è più semplice, visto che ROMA era probabilmente il miglior film fra quelli in concorso, o comunque fra i migliori tre. Inoltre, la sua vittoria riassume perfettamente il tema e l’anima di questa Mostra, ovvero la convivenza fra passato e futuro della Settima Arte.
A partire da uno degli eventi collaterali della kermesse cinematografica, ovvero l’esposizione fotografica sugli 86 anni della Mostra allestita all’Hotel Des Bains, simbolo di un glorioso passato e importante set cinematografico (per Visconti e Minghella), ormai da decenni chiuso al pubblico.
Il bellissimo e decadente atrio dell’hotel fa da perfetto sfondo a un’operazione di ricostruzione storica meticolosa, che tiene a raccontare tutti gli aspetti che hanno portato alla gloria il festival del cinema più antico del mondo, non nascondendo – ai fini di una completa lettura critica della memoria storica – le origini fasciste della kermesse e gli anni bui dell’Asse Roma-Berlino, con ben tre edizioni cancellate in seguito dal conteggio ufficiale, una vera e propria damnatio memoriae.
C’è quindi un elemento catartico in questa scelta, che ci permette di fare finalmente i conti col passato per aprirci al futuro. Futuro che, per il direttore artistico Alberto Barbera e i programmatori e selezionatori del festival, significa innanzitutto due cose: realtà virtuale e Netflix (come avevamo anticipato qualche settimana fa).
Per il secondo anno consecutivo, il Venice VR si rivela un successo, nobilitato ulteriormente dall’introduzione di un concorso e di una giuria dedicata capitanata dalla regista Susanne Bier, che ha ulteriormente stimolato il dibattito su come guarderemo il cinema fra qualche anno.
Piattaforme di VOD (Video On Demand) come Netflix, d’altro canto, sono ormai una realtà affermata anche nel panorama italiano, nonostante le resistenze di una parte di esercenti e pubblico, e la consacrazione massima è un segnale molto forte di cambiamento. Tuttavia, crediamo che il dibattito stia prendendo delle pieghe estreme e poco ancorate alla realtà; lo dimostra il successo al botteghino di Sulla mia pelle, uscito in contemporanea mondiale su Netflix e in quasi cento sale in tutta Italia, che dimostra come le due realtà possano coesistere.
Non solo piattaforme e supporti, il futuro del cinema (e dell’umanità) è ben presente anche nei temi dei film selezionati: il più contemporaneo è sicuramente Doubles vies (Non-Fiction) di Olivier Assayas, una commedia ricca di dialoghi su come la tecnologia ci stia cambiando che è anche un fermo immagine del momento esatto in cui stiamo vivendo; nel polo opposto troviamo il reazionario Vox Lux di Brady Corbet, stravagante satira sociale girata in pellicola che mescola e unisce temi come industria musicale e terrorismo.
Ma abbiamo anche il metacinema di Orson Welles (nel suo ultimo film che sarà distribuito da Netflix), i western post-postmoderni di Audiard e dei Coen, il bellissimo remake di Suspiria di Luca Guadagnino intriso di femminismo della differenza, i documentari sull’America di Trump di Minervini e Wiseman, le musiche di Apparat in un film sugli inizi del ‘900 (Capri-Revolution di Mario Martone), una commedia à la Boris sul conflitto israelo-palestinese (Tel Aviv On Fire, che ha visto premiato l’attore protagonista Kais Nashif), il dramma in costume The Favourite del contemporaneissimo Yorgos Lanthimos, con la vincitrice della Coppa Volpi Olivia Colman, prossima Elisabetta in The Crown, qui nei panni di un’altra regina inglese, Anna Stuart.
Così torniamo a ROMA, che di questa nuova idea di cinema che vede la commistione fra passato e futuro si fa vessillo: un racconto del passato in bianco e nero ma girato in digitale, che non fa della nostalgia un feticcio e si rivolge al presente. Poco importa che a distribuirlo sia Netflix, o in quante sale verrà proiettato a partire dal 14 dicembre (data di uscita).
Perché tutto ciò che conta, come dice Guillermo del Toro, è ciò che sta all’interno di quel rettangolo di schermo, piccolo o grande che sia, e della sua capacità di farci emozionare.