Per il bene del cinema, bisogna “rompere” la Disney

Walt Disney Pictures

Traduciamo e riportiamo l’articolo di Guy Lodge sul Guardian, che offre interessanti spunti di riflessione sullo stato dell’industria cinematografica mondiale e sulla supremazia della Disney, che sta “consumando i propri rivali, creando un’industria priva dell’innovazione sostenuta dal suo fondatore”.


Probabilmente, è il tipo di supremazia commerciale a cui Walt Disney e suo fratello Roy ambivano nel 1923, quando fondarono il Disney Brothers Cartoon Studio: appena superata la prima metà del 2019, i quattro film di maggiore incasso nelle sale statunitensi sono tutte uscite Disney (lo stesso varrebbe a livello mondiale se non fosse per il successo del blockbuster fantascientifico cinese The Wandering Earth).

Questi quattro film – Avengers: Endgame, Captain Marvel, Aladdin e Toy Story 4 – messi assieme hanno incassato più di 5 miliardi di dollari nel mondo, con il pompato remake de Il Re Leone destinato a far crescere questi numeri dalla prossima settimana. E quest’autunno arriveranno altri sequel – Frozen 2, Star Wars, Maleficent – che faranno girar soldi.

La Disney è messa così bene che la recente delusione al botteghino del remake burtoniano di Dumbo, che ha incassato “solo” 345 milioni di dollari, non può essere definita un flop, perché ha comunque fatto il doppio del film di punta della concorrente Paramount, Rocketman.

Da una parte, questo livello di dominio del mercato è ammirabile; mentre le altre compagnie, minacciate dall’ascesa di Netflix e di altre piattaforme d’intrattenimento in veloce evoluzione, si stanno scervellando per trovare un modo di scollare il pubblico dai divani e portarlo al cinema, la Disney sembra non avere alcun problema a sfornare un grande evento cinematografico dopo l’altro. Di questo, però, ha pagato la lunga reputazione di “casa delle idee”: avrete probabilmente notato che tutti i nove titoli Disney menzionati finora sono parte di saghe, sequel o remake di classici, il che conferma il recente andazzo dell’industria che considera i soggetti originali un affare rischioso (nella classifica dei 10 film che hanno guadagnato di più negli USA, l’horror Us di Jordan Peele è solo in un mare di franchise e remake).

“Io credo di essere un innovatore”, diceva Walt Disney, ma le sfide del mercato cinematografico di oggi suggeriscono che dare alla gente ciò che vuole significhi dargli personaggi e storie che già conoscono. Questa potrebbe essere la via più efficace per mantenere viva l’esperienza del grande schermo nel 2019, ma sembra una vittoria vana. La Disney, ovviamente, non è la sola a seguire questa filosofia, ma è riuscita a farla funzionare più efficacemente dei suoi rivali.

Eppure, fin quando la Disney continuerà a soffocare il box-office – e bisogna tornare indietro al 2014 per trovare un anno in cui non sia arrivata in cima alle classifiche d’incassi – sarà additata come la principale fautrice di un cinema popolare sempre più omogeneo e piatto. A marzo, la Disney ha sottomesso uno dei suoi più antichi rivali, completando l’acquisizione della 21st Century Fox per 71 miliardi, il che fa sembrare l’acquisizione da 3 miliardi della Marvel Entertainment nel 2009 poco più che un affare a buon prezzo.

Marvel Studios

Ad eccezione del franchise di Spider-Man, ancora in mano alla Sony, i marchi Disney e Marvel sono fortemente interconnessi, sia commercialmente che esteticamente. Adesso, tolto l’imbarazzo di flop ereditati come Dark Phoenix, la Disney punterà a una simile sintesi con le prossime uscite forti della Fox, come il remake di West Side Story firmato Steven Spielberg e, di certo, la lunga serie dei sequel di Avatar di James Cameron.

Questo tipo di imperialismo hollywoodiano non è incoraggiante se si teme che da una ridotta concorrenza derivi una ridotta creatività, anche se la sostanziosa fanbase della Disney – legata alla nostalgia dell’infanzia che è ormai marchio di fabbrica degli studios – continua ad essere entusiasta. Quali altre acquisizioni sono in programma? Stiamo vedendo un ritorno al rigido studio system degli anni ‘40 e ‘50, solo che stavolta è solo una compagnia a farla da padrone? Se così fosse, servirebbe qualcosa di simile a quello che sta succedendo nella Silicon Valley, dove si chiede di “rompere” il monopolio dei colossi dell’informatica.

Eppure, la Disney continua a vendersi non come un’entità monopolizzante bensì come un collettivo di voci e idee, come si evince dalla presentazione che la presidente della distribuzione Cathleen Taff ha fatto prima di rivelare il calendario delle uscite 2019-2020: “siamo entusiasti di mostrarvi una lista robusta e variegata, che ha le sue radici nella nostra strategia a lungo termine di mettere assieme una varietà di film Disney, Pixar, Marvel, Lucasfilm, Fox, Fox Searchlight, e Blue Sky Studios per creare una straordinaria collezione di esperienze cinematografiche per gli spettatori di tutto il mondo.

Una grande e felice famiglia, quindi. Ci si chiede, allora, se Fox Searchlight – la forza indipendente prediletta agli Oscar che sforna opere marcatamente poco “disneyane” come La favorita e il prossimo film di Terrence Malick – continuerà come finora ha fatto, semplicemente aggiungendo una corda più raffinata e orientata a un pubblico adulto all’arco della Disney? Forse, anche se questa settimana ha portato l’annuncio shock che una delle uscite autunnali di punta della Fox – The Woman in the Window di Joe Wright e con Amy Adams – è stata rinviata al 2020 dalla Disney, preoccupata dopo alcuni test screening che avrebbero lasciato il pubblico “confuso”. Potrebbe anche essere che il film sia un casino e le riprese aggiuntive siano giustificate; tuttavia, è difficile non credere che la Disney abbia le proprie convinzioni su che tipo di narrazione voglia il pubblico, e finché terrà in mano tutti gli scontrini del botteghino, sarà difficile obiettare.

Fonte: The Guardian

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