#Venezia76: la recensione di A herdade (The Domain) di Tiago Guedes

“Soap opera portoghese”, “Troppo lungo”, “Mediocre”. A The Domain (titolo originale A herdade) di Tiago Guedes è stato detto di tutto. La stampa italiana presente al festival ha dato un voto medio di 2 stelle su 5, quella internazionale 3. Sorprende una valutazione così bassa, addirittura più bassa dei veri mediocri di questa edizione della Mostra del Cinema: No. 7 Cherry Lane di Yonfan (la recensione è qui) e Gloria Mundi di Guédiguain; o del wannabe blockbuster Ad Astra di cui abbiamo parlato qui. Verrebbe da dire, forse un po’ maliziosamente, che i critici siano esausti e che un’esperienza intensiva come un festival cinematografico, alla lunga, ti fa entrare in sala svogliato. La cosa salta facilmente all’occhio confrontando le valutazioni dei film proiettati nella prima parte della Mostra con quelli proiettati nella seconda parte. Perdonatemi i toni polemici, ma questa introduzione è necessaria per quella che sarà una difesa del potenziale che ha questo film, a mio avviso uno dei più belli presentati in concorso.

Ispirato dalla storia di un influente latifondista portoghese, A herdade non è né un biopic né un film storico, ma la struggente storia di un dramma familiare generatosi attorno alla figura di questo personaggio, João Fernandes (Albano Jerónimo), e di come l’uomo debba confrontarsi con la Storia. Fernandes è un antieroe detestabile, un patriarca della peggior specie, un egoista; eppure la storia della sua ascesa e della sua disfatta è così squisitamente umana, così piena di pathos, da non poter lasciare indifferente lo spettatore. Uomo ricco e abituato ad ottenere ciò che vuole, João dispone delle persone nella sua vita come fossero oggetti, e il declino del suo impero inizia con la loro ribellione. Una ribellione personale, ma anche collettiva, in quanto una parte della narrazione si preoccupa di raccontare la Rivoluzione dei Garofani del 1974. Il regista del film definisce João un “principe anarchico e progressista“: in effetti, Fernandes non aderisce né al fascismo dell’Estado Novo di Salazar né alla ventata rivoluzionaria democratica e socialista. Il latifondo di Fernandes è un microcosmo da lui interamente amministrato, in cui la libera espressione e l’appartenenza politica non sono sanzionate, purché non creino problemi al padrone benevolente e liberale.

Apparentemente riuscito a trattare coi comunisti e a mantenere il proprio latifondo intatto, con un’ellissi narrativa passiamo dal 1974 al 1991 e vediamo un João alle prese con un figlio tossicodipendente con cui non ha dialogo, un matrimonio ormai eroso dai tradimenti e dai segreti e infine il pignoramento di vaste porzioni del suo possedimento da parte delle banche. Di quel padrone distinto e potente non rimane che un’ombra: tutto sfugge dalle mani di Fernandes, impossibilitato a destinare le proprie terre a qualcuno di cui si fida, perché ha fatto terra bruciata attorno a sé. Nella mediocrità che ora gli appartiene, persino quello che sembra un tentativo di suicidio non gli riesce: così finisce, nel luogo dov’era iniziata, questa epopea della miseria morale di un uomo senza scrupoli.

Il film è impreziosito da un lavoro di regia estremamente curato, da una fotografia essenziale ma ben studiata e da eleganti movimenti della macchina da presa, come il piano sequenza nella scena dei festeggiamenti di matrimonio, in cui lo sguardo della cinepresa sembra volteggiare assieme agli invitati. A herdade è una piccola gemma estremamente sottovalutata di questa edizione della Mostra. Confido nella possibilità che, ad una seconda visione più attenta e meno fiaccata dalla stanchezza, anche chi è stato particolarmente critico possa rivalutarne la bellezza.

Voto: 9 / 10

A Herdade

2019
Di: Tiago Guedes
Con: Albano Jerónimo, Sandra Faleiro, Miguel Borges, João Vicente, João Pedro Mamede, Ana Vilela da Costa