#Venezia76: la recensione di Ad Astra di James Gray con Brad Pitt

Ad Astra, diretto da James Gray e recitato e prodotto da Brad Pitt, è un fulgido esempio della volontà di Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra del Cinema di Venezia, di accostare le grandi produzioni americane ai film autoriali e, se vogliamo, di nicchia che popolano generalmente i festival cinematografici. Destinato a diventare un blockbuster, anche e soprattutto per la presenza importante di Brad Pitt, Ad Astra si presenta come un film decisamente fuori posto nella competizione lagunare.

La storia narra di un figlio (Brad Pitt) alla ricerca del padre (Tommy Lee Jones), stazionato presso il pianeta Nettuno e accusato di aver creato un dispositivo in grado di mettere a repentaglio la vita degli umani sulla terra. Il progetto ambizioso di James Gray è, a detta dello stesso regista, quello di “portare sullo schermo la più realistica rappresentazione dello spazio fatta in un film”. Affermazione audace, considerando che il realismo fantascientifico è già stato esplorato con risultati ben più significativi dall’Interstellar di Christopher Nolan. Il film, intriso di citazionismo, da Malick a Kubrick, da Gravity al già citato Interstellar, cade vittima delle proprie ispirazioni, diventando una copia sbiadita delle stesse e non aggiungendo nulla al genere fantascientifico.

Il voice over dello stesso Pitt, ingombrante e ripetitivo, non fa altro che descrivere le scene che si stanno svolgendo di fronte ai nostri occhi. Quando non è impegnato a dirci cose che la recitazione di un buon attore dovrebbe già dire da sé, il nostro Roy si lancia in considerazioni filosofeggianti sulla vita, l’universo e tutto quanto. Il suo amaro commento sulla guerra in corso sulla Luna, messa in relazione con una non meglio specificata natura umana, mi ha riportato alla mente battuta che suonava più o meno così:

War, huh, good God y’all, what is it good for? Increasing domestic manufacturing.

Bo Burnham, Make Happy

Ruth Negga e Brad Pitt in una scena del film

Liv Tyler nei panni della moglie di Roy, come già notato da altri, non fa altro che riprendere il suo ruolo in Armageddon. La sua presenza nel film è completamente ininfluente. Una guida su come sprecare un’attrice come lei in un ruolo in cui non dice più di una manciata parole. Ciò che infastidisce di Ad Astra è che nello spazio immaginato da James Gray le donne sono quasi inesistenti. Quando ci sono, finiscono per presentarsi come dei token (spesso black) characters, ovvero delle semplici “quote” da rispettare, mentre la narrazione continua a incentrarsi su uomini bianchi.

È una pellicola sostanzialmente mediocre e pretenziosa, bersagliata dalla critica europea e sorprendentemente accolta con favore da quella statunitense. Non c’è dubbio che al botteghino questo film ripagherà ampiamente i costi di realizzazione (la stima è di un’apertura tra i 17 e i 20 milioni di dollari). Del resto lo sappiamo, Brad Pitt è un personaggio importante che naturalmente attrae spettatori al cinema.

Ad Astra uscirà nelle sale americane il 20 settembre prossimo e in quelle italiane il 26 settembre.

Voto: 4 / 10

Ad astra

2019
Di: James Gray
Con: Brad Pitt, Tommy Lee Jones, Ruth Negga, John Ortiz, Liv Tyler, Donald Sutherland

Da qualche parte nello spazio profondo, un campo elettrico scarica la sua forza alla velocità della luce e minaccia la sopravvivenza della Terra. L'origine viene presto identificata e il Maggiore Roy McBride incaricato della missione che dovrebbe liquidare il problema. Ma le cose non sono così semplici perché Roy, soldato decorato oltre i confini della Terra, è il figlio di Clifford McBride, pioniere dello spazio partito ventinove anni prima per cercare segni di vita su Nettuno. Arenata tra i suoi satelliti, la nave del padre è la causa delle scariche elettriche che colpiscono la Terra. Astronauta performante e figlio devoto, Roy è il cavallo di Troia per stanare Clifford. Un cavallo indomabile che cerca risposte all'abbandono e una via altra per tornare finalmente a casa.