#Venezia74: La Recensione di Thirst Street di Nathan Silver con Lindsay Burdge

Un regista indie eccentrico e originale si cimenta in un riuscitissimo psico-dramma erotico, presentato ai  Venice Days – Giornate degli Autori dopo aver incantato il Tribeca Film Festival.

Gina, un’assistente di volo riservata e sensibile, non ha ancora superato il trauma del suicidio del fidanzato quando un nuovo uomo si affaccia nella sua vita. Romantica e con una forte fiducia nel destino, Gina si butta a capofitto nella nuova relazione, ma quando l’illusione verrà svelata, la donna precipiterà in una spirale di follia.

Nathan Silver si addentra nei torbidi meandri dell’ossessione erotica come un novello De Palma, rappresentando la disperazione della protagonista con una resa estetica straordinaria. Non si può non simpatizzare con l’anti-eroina, interpretata splendidamente da Lindsay Burdge, che vittima di se stessa e di un trauma irrisolto lotta per un amore che non esiste. Dall’altra parte, si prova tenerezza e compassione per Jérôme (Damien Bonnard), che passa da immorale seduttore ad eroe romantico, dando al film un tocco di ironia e irresistibile patetismo.

Struggente e dissacrante, il film passa dal dramma psicologico alla commedia nera con una facilità che disarma e diverte lo spettatore. Ciliegina sulla torta, la narrazione affidata ad Anjelica Houston, che da voce ai pensieri di Gina come se fosse la sua voce nella testa, il narratore della favola della protagonista che non si accorge di essere il cattivo e non l’eroe.

In conclusione, Thirst Street è un’esplorazione dell’illusione dell’amore, del tormento di una persona sola, e inoltre affronta in modo originale il disturbo da stress post-traumatico, raffigurando dei personaggi ben approfonditi psicologicamente senza alcuna pretesa giudicante o didascalica.

Voto: 8 / 10